Viaggio nella storia e nell'arte a Torgiano - Astur Baleoneus
Per chi si fosse perso la mostra...
Aperta al pubblico dal 12 Novembre 2017 al 2 Giugno 2018, la mostra "Astur Baleoneus: Viaggio nella storia e nell'arte a Torgiano" ha voluto rendere omaggio all'ultimo abitante della secolare residenza, Astorre Vasta (che si firmava con lo pseudonimo di Astur Baleoneus), in un percorso espositivo che ha accompagnato il visitatore tra arredi, suppellettili e oggetti di vita quotidiana, alcuni vere e proprie rarità. Questa esposizione è stata il primo passo per la realizzazione di una casa museo come auspicato dallo stesso Vasta nello scritto ‘La mia casa'.
Per chi si fosse perso la mostra, ecco alcuni approfondimenti.
Palazzo Graziani Baglioni
Collocato nel cuore del centro storico di Torgiano, a breve distanza dal Palazzo Pubblico, il Palazzo Graziani Baglioni è un’emergenza architettonica la cui presenza si intreccia sia con la storia antica che con quella recente della città.
Già residenza agricolo-gentilizia della eminente famiglia perugina dei Graziani, a seguito del matrimonio dell’ultima discendente della famiglia, Anna Graziani, con il conte Pietro Baglioni, nel 1774, il Palazzo acquisì il doppio appellativo.
Rimase dimora della famiglia fino al 2002 quando l’ultimo discendente, il Prof. Astorre Vasta Baglioni, dispose con atto testamentario l’istituzione di una Fondazione intitolata alla nonna, Vittoria Baglioni, che si facesse carico dell’amministrazione dell’edificio e della sua valorizzazione, ivi compreso il ricco patrimonio d’arte e di storia che il palazzo racchiude.
L’appartamento principale del grande edificio, collocato come d’uso al piano nobile, presenta infatti ancora intatti gli arredi e le suppellettili degli ultimi suoi abitanti e, in prospettiva, si candida ad assumere la veste di una vera e propria casa-museo. Una vasta galleria, elegantemente decorata nella seconda metà del XVIII secolo da Paolo Brizi (1702-1773) con la raffigurazione umanizzata dei quattro continenti (Europa, Asia, Africa e America), introduce a una serie di ambienti di vaste proporzioni tra i quali la Biblioteca, la Sala d’Armi e la Sala Azzurra, completi ancora dei loro arredi.
La storia
Sul finire del XIII secolo, nel quadro di una politica di espansione, il Comune di Perugia decise di assoggettare il territorio di Torgiano e di rifondare, sulle rovine dell’insediamento romano che era stato distrutto in età barbarica, il castrum Torsciani. Perugia controllava, attraverso un proprio vicario al quale era demandato il governo del castrum, l’organizzazione politico-amministrativa di Torgiano, sanzionata dagli Statuti Comunali del 1426; tra i proprietari terrieri che risiedevano nella zona, figuravano per la maggior parte famiglie dell’aristocrazia perugina: gli Ubaldi e i Baglioni a Torgiano, i Cinelli e i Penna Crispolti degli Arcipreti a Brufa e, a Rosciano, i Signorelli.
Rimase sotto il dominio di Perugia fino al XVI secolo, quando a seguito della sconfitta subita dai perugini nella “"Guerra del Sale"(1540), Torgiano divenne territorio dello Stato della Chiesa.
La presenza nobiliare a Torgiano si lega principalmente all’agricoltura: la fertilità del territorio, ubicato all’altezza della confluenza tra Chiascio e Tevere, costituì, infatti, già prima della costruzione del castrum medievale, il principale stimolo alla colonizzazione di quest’area. Le famiglie magnatizie, tra il XVI e il XIX secolo, edificarono ville, villini suburbani e palazzi per villeggiare, ma soprattutto per controllare la gestione del proprio patrimonio fondiario; ne costituiscono un esempio i seicenteschi palazzi dei Baglioni e dei Graziani che spiccano all’interno dell’abitato per le loro forme possenti. La tipologia del “palazzo di campagna”, che nel Cinquecento solo le maggiori famiglie avevano costruito, nel XVII secolo viene adottato da tutti i medio-grandi proprietari terrieri; pur essendo stati progettati in epoca barocca non presentano forme sfarzose ma sobrie volumetrie.
Il Palazzo oggi denominato “Manganelli”, ubicato all’inizio della principale via cittadina, venne costruito nel XVII secolo per consentire all’antica famiglia perugina dei Baglioni di avere un domicilio a Torgiano e potere così amministrare la terza parte della Signoria di Rosciano che, a fine Cinquecento, avevano ereditato dai Signorelli “con l’obbligo di governarla per sei mesi l’anno”. Nel XIX secolo il palazzo passava in proprietà alla aristocratica famiglia genovese Pallavicini-Durazzo e, ancora più tardi, divenne di pertinenza della famiglia Manganelli. I Baglioni avevano infatti nel frattempo ereditato un altro Palazzo, situato poco più avanti lungo il corso principale - l’antica via di Mezzo -, che in origine era stato residenza estiva della famiglia perugina dei Graziani; Anna Maria Graziani, che aveva sposato Pietro Baglioni, alla sua morte, nel 1824, vedova e senza figli, decise di lasciare ai parenti del marito il monumentale edificio.
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Astorre Vasta Baglioni:
Storia insolita di uno studioso, monaco, eremita nell'Italia del XX secolo
Astorre Vasta nasce a Torgiano (Perugia) il 31 ottobre del 1920, da Maria Pia Papi, erede attraverso la madre Vittoria di un cospicuo patrimonio immobiliare e terriero del ramo per così dire “torgianese” della secolare e ramificata famiglia Baglioni. Il padre Luigi era un generale dell’Esercito, grande appassionato ed esperto di cartografia.
Sebbene all’epoca non fosse cosa frequente, i genitori di Astorre si separano intorno al 1928 e l’educazione del ragazzo, da quel momento affidata alle sole cure materne, viene indirizzata verso una solida formazione religiosa e culturale, garantita dalle cure e dai consigli di Don Davide Cancellotti, a quel tempo Cappellano di Torgiano, e dalle frequentazioni della madre con alti prelati della zona, tra i quali lo stesso Astorre ricorda Monsignor Giovanni Battista Rosa, “il mio Arcivescovo, dal quale ho ricevuto la Cresima e la prima Comunione”.
All’età di dieci anni Astorre viene mandato a studiare in collegio a Firenze, affinché la sua formazione possa ampliarsi e radicarsi solidamente, uscendo dal ristretto ambiente della provincia e in armonia con le origini sociali e con le inclinazioni del ragazzo. Ben presto il sentimento religioso di Astorre, fortemente sostenuto dalla madre, si fa più radicale ed egli completa la formazione scolastica e teologica prima a Firenze, alla Certosa del Galluzzo, e poi a Lucca, alla Certosa di Farneta dove compie il suo noviziato. E’ qui che egli viene ordinato sacerdote e diviene monaco dell’Ordine fondato da San Bruno nel 1084.
Il rapporto tra madre e figlio è molto stretto, anche in questi anni di lontananza frequentemente interrotta, del resto, dalle reciproche visite; certamente il comune interesse per i temi morali e religiosi rende questo legame ancor più saldo e profondo, come testimoniano le affettuose parole che Astorre le dedica nel suo scritto “Qualche ricordo di mia madre” (1991).
Nel frattempo Maria Pia si era risposata con un giovane chirurgo, il dottor Cesare Angelucci Lami, il cui “progetto vagheggiato” era quello di aprire una casa di cura. A questa impresa “non soltanto difficile, ma addirittura temeraria”, nel mentre che il figliolo completa la sua formazione, lei dedica tutto il suo impegno e non esita a mettere al servizio della causa ogni risorsa finanziaria - arrivando anche a sottoscrivere mutui che mettono a rischio la proprietà dell’avito palazzo di Torgiano - per raggiungere l’agognato, maritale traguardo. Il progetto va a buon fine e l’8 Novembre del 1950, a Perugia, viene “solennemente inaugurata e benedetta dall’Arcivescovo Mons. Vianello” la Casa di Cura Madonna degli Angeli.
Tornato alla Certosa di Firenze, Astorre ne diviene Procuratore sul finire degli anni ’40 e quando i Certosini, che osservano una rigida clausura, vengono sostituiti nella gestione del complesso dai Benedettini per consentire anche la fruizione pubblica del bene (1958), egli torna nel monastero certosino di Lucca. Astorre è anche uno studioso di vaglia e ricca è la sua produzione di saggi, nei quali si riflettono i suoi interessi per la storia e per la religione. Tra i molti titoli si ricorda in particolare il poderoso volume “I Baglioni”, pubblicato nel 1960 a Firenze con lo pseudonimo di Astur Baleoneus, in cui sono ricostruite con dovizia di dettagli le gesta dei protagonisti nobili e guerrieri della importante famiglia perugina tra XV e XVI secolo.
L’esigenza di intensificare la preghiera nell’isolamento, dopo qualche anno, lo spinge a Talamone, dove all’interno del Parco dell’Uccellina vive la più gran parte dell’anno in un romitorio allestito con mezzi e strutture minimali. È qui che si trova quando gli viene comunicata dall’amico Don Giglio Mastacchini la morte della madre, avvenuta il 7 gennaio del 1970. È un duro colpo per Astorre, che da quel momento non soltanto vede reciso per sempre il suo più forte e radicato legame affettivo ma deve anche farsi carico degli aspetti conseguenti, primo tra tutti la cura del patrimonio familiare e in particolare del grande Palazzo Graziani-Baglioni a Torgiano. Non è compito facile per un colto monaco eremita e il suo impegno nella cura dei beni appare infatti fortemente discontinuo, in bilico perenne tra l’amore per le care memorie di famiglia, cui dedica cura e studi durante i suoi soggiorni umbri, e il rifiuto radicale verso la gestione degli affari prettamente economici.
Con l’avanzare dell’età, la vita eremitica all’interno del Parco dell’Uccellina, unitamente all’impegno ministeriale nella parrocchia di Talamone, diviene sempre più complicata e negli ultimi anni Astorre alterna la sua permanenza tra la Certosa di Lucca e il palazzo di Torgiano, dove conduce un’analoga esistenza, isolandosi dal mondo anche all’interno delle mura del suo palazzo, del quale occupa e vive solo pochissimi ambienti riducendo al minimo ogni contatto con l’esterno. Da uomo di Chiesa egli è abituato a pensare alla propria morte ma ciò che lo cruccia è come disporre del suo palazzo e di tutto ciò che in esso è contenuto in modo ch’esso non generi “peccato”, cioè lucro, ma al tempo stesso possa continuare a esistere nel tempo in modo da mantenere viva la memoria di coloro che l’hanno abitato, in primis della nonna Vittoria Baglioni, l’ultima di questo ramo ad aver portato il nome dell’antica casata nobiliare che a Torgiano vanta ben due palazzi posti lungo la via principale, ricordata in particolare come “benefattrice dei bambini” per aver generosamente contribuito all’attività dell’Asilo di Torgiano. Non stupisce quindi che, nel fare testamento, Astorre abbia cambiato idea alcune volte, fino a decidersi per l’istituzione, dopo la sua morte, avvenuta a Perugia il 25 ottobre del 2002, di una Fondazione intitolata alla nonna e affidata alle cure di persone fidate, da lui stesso scelte, che ancora oggi ne assicurano la gestione nello spirito del mandato ch’egli ha loro affidato.
Astorre è sepolto a Talamone, come da lui stesso indicato nelle sue ultime volontà.
Gli scritti e gli studi
Gli studi e le pubblicazioni del Prof. Vasta riflettono, sia nella scelta dei temi che nel modo di affrontarli, la sua personalità. Il forte legame che egli sente con le antiche radici familiari - forse anche in ragione del proprio nome, Astorre, che lo lega quasi ontologicamente alla storia dei suoi avi più famosi e illustri - lo porta a firmare i suoi scritti come “Astorre Baglioni” o, in una versione ancor più aulica, come Astur Baleoneus. Si tratta soprattutto di ricerche di carattere storico - come nel caso del poderoso volume “I Baglioni” dedicato ai secoli d’oro dell'importante famiglia perugina o di “Talamone. Pagine di storia, di poesia, d’arte, di vita”, ampia trattazione sulle origini e lo sviluppo nel corso dei secoli della cittadina marittima, alla quale egli era profondamente legato - e storico-religioso, come testimonia la monografia dedicata alla Beata Colomba da Rieti, la cui storia di fede e di vita si intreccia anche con le drammatiche vicende e i personaggi di casa Baglioni, al tempo delle “nozze rosse” (1500).
Tra le carte conservate nel palazzo di Torgiano, si trovano inoltre numerosissimi e dettagliati appunti sparsi, molti dattiloscritti, che testimoniano piccole ricerche relative a dipinti, incisioni, volumi e oggetti facenti parte del patrimonio di famiglia. In particolare merita di essere citato l’allegato al suo testamento olografo del 1° novembre 2001, intitolato “La mia casa. Ragionato inventario e guida del Palazzo Baglioni a Torgiano”, nel quale Astorre descrive sala per sala i singoli oggetti, auspicando esplicitamente che essi, il giorno in cui il palazzo potrà essere aperto al pubblico, possano raccontare ai visitatori la storia della sua famiglia.
La Cappella
Dal cosiddetto “salottino della nonna”, attraverso una scala a chiocciola - probabile residuo di un’antica torre inglobata nel palazzo all’epoca della sua edificazione - si accedeva direttamente dal piano nobile di Palazzo Graziani Baglioni a un piccolo ambiante, che Astorre Vasta volle trasformare in una Cappella di “stile e semplicità certosina”. La finestra vetrata e policroma, disegnata dal fiorentino Ugo Signorini (1935-1999) reca il monogramma CAR, che allude a Cartusia, il deserto dove San Bruno e i suoi accoliti posero le basi per la nascita dell’Ordine Certosino. Il deserto per i Certosini non è un luogo fisico, quanto uno spazio simbolico in cui vivere devozione e meditazione in un perfetto isolamento claustrale. Nella Cappella, qui ricostruita secondo le testimonianze degli amici più intimi, Astorre Vasta, monaco e sacerdote, celebrava ogni giorno in solitudine la Santa Messa. L’armadio a muro conservava alcune reliquie, una della Vera Croce, una della Beata Colomba da Rieti e una di San Bruno.
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I Baglioni e il mestiere delle armi
Il primo a trasformare i Baglioni in una dinastia fu Braccio I. Nato nel 1419, egli si avvalse di una buona reputazione militare personale e della stretta parentela con Braccio Fortebracci, che era stato Signore di Perugia tra il 1416 e il 1424, per creare una solida base alla sua attività politica, volta a impiantare nella città una vera e propria signoria. Nonostante gli appoggi esterni (i Medici) e le potenti parentele (gli Sforza) che Braccio seppe abilmente coltivare, egli però non riuscì mai a ottenere dal Papa la completa indipendenza della città dallo Stato della Chiesa, cui Perugia apparteneva. Signore e condottiero di larghe vedute e generoso amico di letterati, poeti e artisti - Maturanzio gli riconosce una “incredibilis liberalitas et inaudita comitas” - il Baglioni attuò una politica di espansione e abbellimento della città che contribuì a farlo percepire come l’incontrastato dominus perugino. Come suo padre Malatesta I egli fu, oltre che un valoroso guerriero, un grande e munifico mecenate, grazie al quale, direttamente o indirettamente, artisti come Piero della Francesca, Pinturicchio e Perugino lasciarono in città numerosi capolavori.
Nell’area del Colle Landone dove sorgevano le case dei Baglioni - un vero e proprio quartiere di cui oggi rimane solo la parte inglobata nei sotterranei della Rocca Paolina - Malatesta avviò la costruzione di un sontuoso palazzo, poi continuato da Braccio, che fosse specchio del nuovo importante ruolo assunto dalla famiglia. A decorarne l’atrio con un ciclo di affreschi raffiguranti uomini illustri, condottieri e militari da un lato e dall’altro dottori e sapienti che circondano Perugia in veste di maestosa figura femminile, fu chiamato Domenico Veneziano ma, purtroppo, nulla rimane oggi di quei pregevoli dipinti se non le descrizioni di coloro che ebbero il privilegio di vederli e un frammento con una “Figura di guerriero”, oggi conservato presso la Galleria Nazionale dell’Umbria.
Morto Braccio nel 1479, alla guida della casata gli succedettero i fratelli Guido e Rodolfo. Entrambi attuarono una politica di alleanze, indirizzando abilmente i matrimoni dei figli. Il figlio di Guido, Astorre I, sposò Lavinia Colonna, discendente del papa Martino V (1417-1431), e il figlio di Rodolfo, Gian Paolo, sposò Ippolita Conti, imparentata con i granduchi di Firenze. Il figlio di Grifone, unico figlio maschio di Braccio ucciso a Cantiano nel 1477, era Federico Baglioni detto “Grifonetto”; egli, che mal sopportava il dominio degli zii, fu uno dei principali protagonisti del drammatico episodio delle “Nozze rosse”. Nel luglio del 1500 si celebrarono i festeggiamenti per il matrimonio tra Astorre Baglioni e Lavinia Colonna. Questa unione rappresentava un evento molto importante per la famiglia, poiché consolidava il potere dei discendenti di Braccio I ancorandolo a una relazione di familiarità con il papa. I festeggiamenti per il matrimonio durarono più e più giorni ma ebbero una fine tragica. Infatti un altro componente della famiglia Baglioni, Carlo detto “il Barciglia”, discendente diretto di un altro fratello di Braccio, rivendicava per sé la primazia su Perugia e ordì quindi una congiura che portò all’uccisione degli sposi e di molti altri parenti e invitati alle nozze. L’orribile eccidio fu compiuto la notte tra il 14 e il 15 luglio con la complicità del cugino Grifonetto e di altri membri della famiglia che pativano la loro marginalità rispetto ai più intraprendenti e potenti zii e cugini. Tuttavia non tutti i Baglioni furono assassinati. Alcuni di loro, come Gian Paolo e Troilo, riuscirono a scampare al massacro fuggendo dalla città e rifugiandosi nei possedimenti di Torgiano, Bevagna e Spello. È proprio dalla piana di Torgiano, più esattamente da San Martino in Campo, che Gian Paolo mosse con le sue truppe già il giorno successivo alla tragedia per rientrare a Perugia, dove Grifonetto fu catturato e ucciso dai suoli soldati. La madre di Grifonetto, Atalanta Baglioni, in ricordo del figlio, cosi tragicamente coinvolto e perito nella faida familiare, ordinò a Raffaello Sanzio di dipingere una “Deposizione” dove fossero raffigurati gli attori di quella terribile tragedia. Ella stessa vi compare nella figura della Madonna addolorata, mentre Grifonetto è colui che sorregge il “Cristo morto” e Zenobia Sforza, moglie di Grifonetto, è rappresentata nella figura della Maddalena. Gian Paolo, adottando il prudente appellativo di “difensore dell’ecclesiastico Stato di Perugia”, da quel momento divenne il signore della città, ma come già aveva tentato di fare il Fortebracci quasi ottant’anni prima, egli in realtà sognò di creare un grande Stato dell'Italia centrale indipendente dalla dominazione pontificia. Uomo d’arme al servizio del Papato, di Firenze e della Repubblica di Venezia, riuscì a destreggiarsi durante il papato di Alessandro VI - salvandosi anche dagli attacchi di Cesare Borgia - e Giulio II ma fu rinchiuso a Castel Sant’Angelo e decapitato dal papa successivo, Leone X, nel 1520 perché accusato di tradimento.
Alla guida dello stato baglionesco di Perugia successe Gentile Baglioni (1466-1527), fratello di Astorre I e dello stesso Gian Paolo. Benché Vescovo di Perugia, dopo la morte cruenta di Astorre I e di Gian Paolo, chiese al Papa la dispensa dalla carriera ecclesiastica per poter sposare Giulia Vitelli, sorella del condottiero Alessandro, e proseguire la dinastia dei Baglioni. Ebbe così due figli, Astorre e Adriano. Astorre II fu uomo d’arme che dedicò l’intera vita alle imprese militari, nel solco della tradizione famigliare. Sposò la fiorentina Ginevra Salviati da cui ebbe un figlio, Guido, ma a Perugia in realtà soggiornò solo per brevi periodi. L’Impero ottomano e la cristianità, Giovanni d’Austria e Lala Mustafa Pascia, Sebastiano Venier, Marcantonio Colonna e Ali Pascia, Ulugh Ali detto “Occhiali”, i Cavalieri di Malta e il Papa Pio V: questo è l’ambiente in cui si conquista la fama di invincibile, Astorre II Baglioni. Al servizio della Serenissima con il grado di Capitano, fu nominato Governatore di Nicosia e Cipro nel 1569, difese eroicamente Famagosta dall’assedio dei Turchi (1571) ma dopo 157 giorni dovette capitolare. I patti per la resa sottoscritti con Mustafà Pascià non furono rispettati, egli venne decapitato insieme a Marcantonio Bragadin, la sua testa conficcata su un’alabarda ed esposta per tre giorni. L’episodio ebbe vasta eco e la Repubblica di Venezia, riconoscendo i meriti del suo valoroso capitano, volle conferire una pensione al figlio Guido e pochi mesi dopo, il 17 ottobre del 1571, con la battaglia di Lepanto in cui tutte le potenze occidentali si coalizzarono per sbarrare la strada all’avanzata ottomana, ne vendicò il sacrificio.
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Gravis dum Suavis.
Aulicità e piacevolezza tra le mura di una casa avita.
Astorre Vasta, nell’allegato al suo testamento intitolato La mia casa – Ragionato e meditato inventario del Palazzo Baglioni a Torgiano (quasi una guida alla casa-museo di cui esplicitamente egli auspica una futura apertura al pubblico) cita un brano del discorso che Giovanni Paolo II tenne a Loreto nel settembre del 1979: “In mezzo alle mutevolezze della storia […] rimane sempre la casa, come arca dell’alleanza delle generazioni e tutela dei valori più profondi, dei valori umani e divini”. Familiare e solenne, intimo e austero allo stesso tempo è, infatti, il carattere di questa dimora, al cui interno si conservano oggetti, documenti e memorie che rimandano a ben più vasti contesti, insieme a ricordi minuti attraverso i quali è possibile ricostruire le vicende quotidiane di coloro che nel tempo l’hanno abitata.
Il motto che campeggia su una delle sopraporte, Gravis dum suavis, è al tempo stesso la sintesi e il programma di un ideale equilibrio tra sobrietà e bellezza perseguito dall’aristocrazia perugina nel corso del Settecento e tramandatosi di generazione in generazione, come si evince dalle parole di Vasta, fino a tempi recentissimi.
Il Palazzo Graziani Baglioni nasce sul finire del XVII secolo come dimora agricolo-gentilizia. Di questa duplice funzione sono testimonianza, sotto il profilo architettonico, nel lato nord-est i grandi ambienti al piano terra, un tempo destinati all’immagazzinamento delle derrate, ai quali si accedeva in maniera autonoma dalla antica Via di Mezzo - in essi, dal 1974, è allestito il suggestivo Museo del Vino della Fondazione Lungarotti - e, nel lato opposto, il bel giardino secolare racchiuso da un elegante muro a centina, oltre che i due ingressi monumentali collocati in perfetta corrispondenza sui due lati opposti dell’edificio, la lunga Galleria al primo piano affrescata da Paolo Brizi e l’elegante teoria si sale intorno, che costituiscono la parte più propriamente residenziale. Della presenza delle due distinte famiglie, prima i Graziani - che la abitarono, anche se non continuativamente, fino al 1824 - e successivamente i Baglioni, sono testimonianza numerosi manufatti della più varia tipologia, alcuni dei quali preziosi, rari, originali o curiosi. Questi oggetti documentano in alcuni casi cultura e vita quotidiana nelle residenze di campagna, mentre in altri testimoniano i molteplici scambi che il gusto dei singoli personaggi o le vicissitudini della famiglia hanno determinato, attraverso trasferimenti di mobili, quadri, sculture, libri dagli antichi palazzi perugini alla residenza di Torgiano.
Giovan Battista Vermiglioli. Archeologia, arte e storia nei palazzi dei Baglioni
Tra le numerose suppellettili che si conservano all’interno del Palazzo vi è il busto di Giovan Battista Vermiglioli (1769-1848), erudito, insigne archeologo, storico e numismatico perugino imparentato con i Baglioni, poiché due sue nipoti, Lavinia e Agnese, andarono spose nel 1818 rispettivamente a Marcantonio e Benedetto Baglioni. Alla storia di questa importante famiglia egli dedicò numerosi studi, ricerche e pubblicazioni: Braccio II, Malatesta IV, Astorre II e altri personaggi come Perugino e Pinturicchio che avevano gravitato nell’orbita baglionesca, furono oggetto dei suoi studi. Nel palazzo torgianese inoltre egli ritrovò il “miglior manoscritto della Cronaca del Graziani, fonte essenziale per la storia di Perugia del Trecento e Quattrocento”, pubblicato nel volume del 1850 dell’Archivio Storico Italiano. Ma il più importante impegno, che intrecciò la sua vita di etruscologo con la parentela, fu quello conseguente la scoperta nelle pertinenze della Villa Baglioni detta “del Palazzone”, a Ponte San Giovanni, dell’Ipogeo dei Volumni, cui il Vermiglioli dedicò gli studi degli ultimi anni.
Il busto reca nel retro il monogramma “OC”, che la tradizione familiare - riportata da Astorre Vasta nell’allegato al suo testamento - scioglieva come “Opus Canovae”. Benché trattasi di un ritratto certamente espressivo e di qualità, tale attribuzione è del tutto ipotetica e niente affatto suffragata da elementi stilistici o documentari, quanto sostenuta solamente da ipotesi fondate sul fatto che lo stesso Vermiglioli accenna al fatto che nel palazzo perugino di Giuseppe Baglioni vi era una sala ovale adornata da quattro “apografi plastici” opera del “sublime scalpello del Fidia italiano, il signor Cavaliere Antonio Canova” (G. B. Vermiglioli, Poesie inedite di Pacifico Massimi ascolano, in lode di Braccio II Baglioni, 1818).
Fonte testi: © Pannelli e brochure realizzati in occasione della mostra
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